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La gestione passiva, anche detta gestione indicizzata, è caratterizzata dal fatto che il gestore persegue un’asset allocation tale da replicare il più fedelmente possibile il benchmark di riferimento.
Questo cosa significa?
Immaginando ad esempio di investire in un fondo azionario cinese con un fondo a gestione passiva, avrò potenzialmente tutte le azioni presenti nell’indice azionario cinese distribuite in ugual pesi.
Questo permette di replicare fedelmente l’andamento di tutte, o quasi, le sue azioni, in modo che combinate insieme abbiano risultati simili, se non uguali, a quelli dell’indice di riferimento.
Parleremo in un futuro articolo anche dei metodi di replica dei fondi a gestione attiva: in ogni caso ora non conta in quanto il risultato finale dei metodi, dal punto di vista delle performance, è circa il medesimo.
La gestione passiva è coerente con l’ipotesi dei mercati efficienti: se i mercati sono efficienti non si possono battere sistematicamente al netto dei costi informativi.
Comprendiamo quindi che un’ottima strategia per un investitore sia semplicemente quella di copiare l’andamento del mercato.
Ma quali sono gli strumenti a gestione passiva?
Gli strumenti utilizzati per replicare l’andamento del mercato di riferimento si chiamano ETF (Exchange-Traded Fund).
Come succede per tutti i fondi comuni di investimento quando si acquista un ETF si acquista un paniere di titoli.
Investire in un fondo significa aggiungere il proprio risparmio a quello di altri investitori e nel caso di una gestione passiva, il gestore del fondo deciderà di investire fedelmente sugli strumenti che compongono l’indice di riferimento, provocando un risultato che è statisticamente il medesimo.
Ma come funzionano gli ETF? E soprattutto quanto costano?
Come abbiamo detto, la peculiarità degli ETF è adottare una gestione passiva.
Dunque, a differenza dei fondi a gestione attiva, dove il gestore ha ampia discrezionalità nel creare l’extra rendimento (puoi approfondire leggendo l’articolo “Fondi a gestione attiva: cosa sono, obiettivi e costi”), quando si acquista un ETF si sa già che la performance non dipenderà dall’abilità del gestore ma dal semplice andamento dell’indice di riferimento.
È vero che con questa modalità è molto difficile, anzi impossibile, avere performance superiori all’indice di riferimento dello strumento ma è altrettanto vero che sia molto improbabile avere un andamento inferiore.
Nel caso dei fondi a gestione attiva in un periodo di 5 anni solo il 12% riesce a battere il benchmark e solo il 6% riesce a farlo in 10 anni.
Questi dati sono stati presi da Vanguard, leggi qui l'articolo di riferimento.
Nella gestione attiva il tempo e la fatica impiegati sono decisamente maggiori e questo comporta una commissione elevata. Replicare i titoli dell’indice di riferimento, come succede nella gestione passiva, consente invece una drastica riduzione dei costi.
I bassi costi sono la motivazione prevalente per cui il rendimento medio dei fondi a gestione attiva è minore di quello dei fondi a gestione passiva.
Infatti il costo medio di un fondo a gestione passiva è decisamente più basso, a volte quasi un ventesimo più piccolo, dei fondi a gestione attiva. Questo anche perché negli ETF si paga solamente la commissioni di gestione che è molto bassa mentre non sono presenti altre tipologie di commissioni che possono esservi nei fondi a gestione attiva (nel caso non lo avessi ancora fatto ti invito nuovamente a leggere il mio articolo: “Fondo comune di investimento a gestione attiva: cosa è e quali sono i costi”).
Il costo snellito degli ETF permette dunque di avere, nel lungo periodo, dei risultati sensibilmente migliori della media dei fondi a gestione attiva.
I vantaggi degli ETF verranno presentati nel prossimo articolo.
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