Contributo del datore nei fondi pensione negoziali: funzionamento e vantaggi fiscali

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In Italia esistono diversi tipi di fondi pensione che possono essere generalmente raggruppati in 3 grandi categorie: fondi aperti, piani individuali pensionistici (PIP) e fondi contrattuali (o anche chiamati fondi negoziali) (Fondo pensione: quante tipologie ne esistono? Quale conviene? - Davide Berti Consulente Finanziario).

Nel seguente articolo ci soffermeremo su una caratteristica peculiare che contraddistingue quest’ultima tipologia di fondo analizzando in particolar modo un potenziale vantaggio del quale possono beneficiare i lavoratori che decidono di aderire a tale tipologia di fondo. 

Vediamo meglio di cosa si tratta.

Fondi negoziali: contributo datoriale

Chi sceglie di aderire al fondo pensione negoziale, decidendo di costruire in questo modo una pensione integrativa rispetto a quella pubblica, può contribuire in diversi modi alla composizione della propria posizione individuale.

Nello specifico, l’aderente può scegliere di versare nel fondo:

  • il solo TFR;
  • un contributo aggiuntivo a carico proprio rispetto al TFR.

In questo secondo caso il lavoratore decide di dedicare al risparmio previdenziale, oltre al TFR, anche parte della propria retribuzione, attivando così la cosiddetta contribuzione propria. 

La cosa interessante è che il lavoratore attivando la contribuzione volontaria al fondo pensione negoziale di categoria matura anche il diritto a ottenere un ulteriore importo sotto forma di contributo a carico del datore di lavoro. Si tratta di un contributo finanziariamente a carico dell’azienda che va a incrementare la posizione individuale del lavoratore presso il fondo pensione di categoria.

All’atto pratico quindi il montante annuo totale di un lavoratore al fondo pensione di categoria può essere scomposto tra:

  • il TFR maturato annualmente e versato dall’azienda (qualora richiesto dal lavoratore. In caso contrario il TFR può rimanere in azienda);
  • il contributo a carico del lavoratore, soggetto a deducibilità fiscale;
  • il contributo dell’azienda, nella misura prevista dall’accordo collettivo o regolamento aziendale (cui il lavoratore ha diritto solo se effettua il proprio versamento);

Esista una soglia minima di contribuzione propria per avere diritto a questa integrazione da parte del datore di lavoro?

Sì, esiste. Dipende però dal nostro contratto. Non esiste una percentuale minima uguale per tutti. Le percentuali indicate sono quelle minime stabilite dai CCNL dei settori indicati. Le aziende, attraverso la contrattazione interna, possono prevedere condizioni di maggior favore. Generalmente questa soglia si aggira tra lo 0,50% ed il 2% della propria RAL.

A quanto ammonta il contributo del datore di lavoro al fondo pensione?

Dipende! La contribuzione del datore di lavoro è definita in base alle condizioni stabilite negli accordi collettivi o negli accordi aziendali che regolano l’adesione del lavoratore al fondo del versamento. In sostanza anche questo è variabile e dipende dal CCNL.

Per chiarire meglio, vediamo nella tabella 1 un esempio delle percentuali stabilite per lavoratore e datore di lavoro per alcuni comuni contratti di lavoro.

Tabella 1: Contributo lavoratore ed azienda per CCNL

 Tabella 1: Contributo lavoratore ed azienda per CCNL

Fonte: elaborazione Ufficio studi Davide Berti

Da questo esempio emerge chiaramente come le aliquote varino a seconda del contratto di lavoro e del settore in cui si opera. Un lavoratore dipendente del settore Tessile, versando almeno l’1.50% della propria RAL nel fondo pensione di categoria ha diritto ad un 2% (della RAL) versato dall’azienda alla propria posizione nel fondo pensione. Si tratta di un vero e proprio regalo da parte dell’azienda che va a contribuire alla posizione previdenziale del lavoratore contribuendo ad accrescere il montante. 

Vantaggi fiscali

Il contributo dell’azienda va ad ampliare l’importo destinato alla pensione integrativa, ma non solo. Al risparmio previdenziale lo Stato riconosce alcune specifiche agevolazioni fiscali. Di seguito riportiamo le principali in funzione della fase in cui ci troviamo: 

  • Fase di accumulo: il contributo del lavoratore destinato al fondo pensione è deducibile in dichiarazione dei redditi; ciò significa che questo può essere sottratto al reddito imponibile per il conteggio delle imposte annuali. Ciò ci permette di pagare subito meno imposte (fino ad un tetto massimo pari a 5.164,57 euro);
  • Fase di gestione: i rendimenti della gestione finanziaria sono tassati con un’aliquota massima del 20%. Considerando che la maggior parte delle forme di risparmio finanziario è tassata al 26% è un vantaggio significativo;
  • Fase di prestazione: quando si raggiunge il momento del pensionamento, il capitale e/o la rendita che vanno a costituire la pensione integrativa subiscono una ritenuta d’imposta che varia tra il 15% e il 9% in base agli anni di partecipazione al fondo.

In caso poi di anticipazioni o i riscatti della posizione individuale per far fronte a spese personali o famigliari impreviste e straordinarie è prevista un’aliquota agevolata che varia tra il 15% al 9% in funzione del numero di anni di partecipazione al fondo. Per le anticipazioni richieste per acquisto o ristrutturazione della prima casa di abitazione per sé e per i figli o per motivi diversi, l’aliquota è invece pari al 23%.

Vediamo un esempio pratico di quanto incide il contributo datoriale sul montante cumulato del lavoratore?

Immaginiamo di avere due lavoratori: Marco ed Andrea. La remunerazione lavorativa è la medesima, la differenza è che Marco non aderisce ad un fondo negoziale mentre Andrea aderisce. Andrea, in particolare va a destinare una quota del 2% del suo stipendio e beneficia a sua volta del contributo del datore di lavoro del 2%.

Come mostrato dalla tabella 2, il versamento del contributo volontario nel fondo pensione (senza considerare la redditività di tale versamento nell’anno) va a generare un risparmio fiscale di 315€ per Andrea con una disponibilità per Andrea che arriva ad essere di 1215€ in più rispetto a Marco per via del contributo del datore di lavoro. Tali calcoli, molto semplificati, mostrano l’impatto positivo che può avere il versamento nel fondo pensione in termini di risparmio fiscale e in termini di contribuzione del datore di lavoro, impatto che si traduce in un beneficio monetario importante. 

Tabella 2. Impatto contributo datoriale 

Tabella 2. Impatto contributo datoriale

Fonte: elaborazione Ufficio studi Davide Berti

Conclusioni

Versare un contributo proprio, oltre il TFR, è in sintesi una scelta oculata con effetti potenzialmente molto positivi sulle nostre finanze e sul nostro futuro pensionistico. A fronte di un sacrificio minimo oggi creiamo una base più solida per lo scenario post-lavorativo.

I versamenti al fondo pensione, a seconda del comparto selezionato e delle abilità del gestore, saranno capitalizzati negli anni, andando a rivalutarsi nel tempo con l’effetto diretto di accrescere il montante del contribuente.

L’incentivo della contribuzione del datore di lavoro è un ulteriore vantaggio per i dipendenti del settore privato, elemento da considerare in un’attenta pianificazione del proprio risparmio.

Resto a disposizione per qualsiasi dubbio o domanda.

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Davide Berti, consulente finanziario

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In un mondo basato sulle dinamiche economiche, dove troppo spesso le conoscenze finanziarie sono limitate o assenti, verificare la professionalità di un consulente è necessario quanto difficile. Per questo affianco al mio lavoro questo progetto di consapevolizzazione.

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