Il Tfr, acronimo di Trattamento di Fine Rapporto, è una parte della retribuzione del lavoratore dipendente che è accantonata su base mensile dal datore di lavoro e viene – se lasciata in azienda - erogata al termine del rapporto di lavoro.
In altre parole è possibile definire il Tfr come una somma accumulata dal datore di lavoro negli anni in favore del dipendente, somma che verrà in aiuto nel futuro – sia per cambio di lavoro che nel caso di raggiungimento della pensione.
Prima di capire cosa sia più opportuno fare con il proprio Tfr occorre capire a quanto ammonta annualmente tale cifra, punto di partenza per ogni tipo di valutazione. Il Tfr annuo spettante ad ogni dipendente è pari al 6,91% della retribuzione lorda annuale (https://davideberti.it/ral-dove-trovarla-sul-730-o-sul-modello-redditi) e il Tfr maturato di anno in anno va a costituire quella somma, quel tesoretto, che ogni dipendente vede crescere nel tempo in virtù della crescita degli accumuli annuali fatti.
Non tutti i lavoratori sanno però che hanno a disposizione due alternative di allocazione per il proprio Tfr:
- Lasciare il Tfr in azienda;
- Far confluire il Tfr in un fondo pensione.
Comprese le due alternative vediamo in cosa consistono al fine di valutare quali ragionamenti dovrebbe effettuare ogni lavoratore che deve decidere cosa fare del proprio Tfr.
Prima di addentrarci negli elementi che deve considerare ogni lavoratore occorre fare una precisazione tra le possibilità di scelta in caso di lavoratore alla prima assunzione oppure lavoratore che cambia lavoro – e quindi non alla prima occupazione.
In caso di prima assunzione il lavoratore del settore privato può decidere se allocare il TFR ad un fondo pensione, mediante la compilazione del modulo TFR2, oppure se lasciarlo in azienda. In caso di mancata compilazione del modulo TFR2 opera il meccanismo del silenzio-assenso secondo il quale il TFR confluisce in automatico nel fondo pensione negoziale dell’azienda.
In caso di nuovo rapporto di lavoro, se il lavoratore ha scelto di lasciare il TFR in azienda il nuovo datore di lavoro manterrà la scelta iniziale, fermo restando che il lavoratore possa decidere di conferire il TFR che maturerà in futuro ad un fondo pensione.
Compresa questa differente modalità di conferma della propria scelta a seconda della condizione in cui si trova il lavoratore – se prima assunzione o meno – andiamo a vedere nel dettaglio i tre elementi che devono essere considerati per una scelta ponderata.
Primo elemento per la scelta: il rendimento atteso e costi
Il Tfr lasciato in azienda si rivaluta ogni anno dell’1,5% fisso più il 75% del tasso d’inflazione registrato annualmente e lasciandolo in azienda non si ha alcun costo. Il rendimento e i costi del fondo pensione dipendono innanzitutto dalla linea di investimento scelta e dalla casa di gestione, con l’universo dei fondi pensione che presenta alcune ottime soluzioni contrapposte a fondi pensione molto onerosi (. https://davideberti.it/blog/il-danno-che-puo-fare-un-piano-individuale-pensionistico-costoso-alla-tua-pensione).
Il primo elemento di scelta deve quindi considerare il rendimento atteso per il proprio Tfr, con le linee più prudenti dei fondi pensione che tendenzialmente rendono meno del Tfr lasciato in azienda e con le linee più aggressive (nel caso di fondi pensione efficienti – ovviamente) che offrono nel lungo periodo un rendimento atteso superiore.
Secondo elemento per la scelta: le probabilità di cambio lavoro e la necessità potenziale delle somme nel breve periodo
Il secondo elemento di valutazione dipende direttamente dal primo, ossia deve considerare le probabilità di cambio lavoro nel medio periodo e/o la potenzialità necessità di utilizzare anticipazioni del Tfr.
Se si lascia il Tfr in azienda e si cambia lavoro si ha immediatamente diritto al 100% del proprio Tfr mentre, nel caso di Tfr destinato alla previdenza complementare, è possibile avere un riscatto della propria posizione pari al 50% in caso di disoccupazione dopo 1 o anno e solamente del 100% in caso di disoccupazione dopo 4 anni.
Destinando il Tfr al fondo pensione si va quindi a vincolare il proprio Tfr per il lungo periodo – per la pensione appunto – potendo richiedere eventuali anticipazioni fino al 75% soltanto per spese mediche; è possibile richiedere anticipazioni del proprio montante maturato nel fondo pensione anche in caso di acquisto o ristrutturazione prima casa (75% del montante) ma occorre partecipare alla previdenza complementare da almeno 8 anni. È prevista anche la possibilità di richiedere anticipazioni fino al 30% del montante maturato nel fondo pensione ma condizione necessaria è partecipazione al fondo da più di 8 anni, con tali somme che vedo applicata una tassazione del 23%.
In caso la propria pianificazione di vita prevedesse un cambio di lavoro poco dopo aver iniziato a lavorare potrebbe essere più sensato attendere a destinare il Tfr nel fondo pensione. Di contro, per coloro che hanno la propria carriera avviata, il Tfr nel fondo pensione – se quest’ultimo è efficiente in termini di costi e rendimenti attesi – appare scelta più ragionevole, in virtù anche della tassazione che subisce il montante.
Terzo elemento per la scelta: la tassazione
Il secondo elemento ci porta direttamente a parlare del terzo elemento da valutare: la tassazione del Tfr.
Lasciando il Tfr in azienda, al momento della liquidazione, vedo applicare alla somma una tassazione pari all’aliquota media Irpef degli ultimi 5 anni, percentuale media che quindi dipende dal proprio reddito annuo lordo ma con certezza sarà tra il 23% e il 43%.
Il Tfr destinato invece ad un fondo pensione, al sopraggiungere della pensione vede applicata un’aliquota massima del 15% che decresce potenzialmente fino al 9% a seconda degli anni di partecipazione alla previdenza complementare (https://davideberti.it/blog/contributo-del-datore-nei-fondi-pensione-negoziali-funzionamento-e-vantaggi-fiscali).
Oltre ad un vantaggio da un punto di vista di tassazione del capitale maturato, il Tfr versato nel fondo pensione di categoria è condizione per avere diritto al contributo del datore di lavoro, altro vantaggio importante in favore del versamento del Tfr nel fondo pensione.
In conclusione, cos’è meglio fare del proprio Tfr?
Gli elementi proposti hanno voluto spiegarti gli elementi che devi considerare prima di compiere la scelta di destinazione del Tfr, consapevole che la scelta di lasciare il Tfr in azienda può essere cambiata in ogni momento per il Tfr futuro, destinabile alla previdenza complementare (per il Tfr passato dipende dal fondo pensione).
La tabella 1 mostra i punti di forza e di debolezza di entrambe le soluzioni per il proprio Tfr e risulta essere una guida per la propria decisione.
Tabella 1 – Punti di forza e debolezza del Tfr in azienda o nel fondo pensione
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Tfr in azienda |
Tfr nel fondo pensione |
Punti di forza |
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Punti di debolezza |
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La scelta migliore per il proprio Tfr dipende da molte variabili, su tutte la propria età e le prospettive lavorative e di vita future.
Per un giovane che ha la certezza di poter cambiare lavoro dopo la prima occupazione che sa che il Tfr potrebbe fargli comodo nei periodi tra la fine di un contratto lavorativo e l’inizio di una nuova esperienza, la scelta più saggia sembra essere quella di tenere il Tfr in azienda per poi usufruirne nei periodi dove si è alla ricerca di lavoro.
Per quanto riguarda invece un lavoratore con una certa stabilità di vita ma con davanti a sé molti anni di lavoro prima del pensionamento, la scelta di versare il Tfr nel proprio fondo pensione di categoria – se presente e se efficiente – potrebbe essere la più sensata al fine di ottenere una redditività superiore al Tfr lasciato in azienda e godere potenzialmente anche del contributo del datore di lavoro.
I due esempi proposti sono generici e non considerano elementi specifici di ognuno di noi, motivo per il quale prima di compiere la scelta di destinazione del proprio Tfr è bene analizzare nel dettaglio la propria situazione, i propri obiettivi di medio termine e le proprie scelte lavorative.
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